Quando ci troviamo davanti al banco dei formaggi del supermercato, quei bollini colorati che campeggiano sulle confezioni di pecorino sembrano tutti uguali. Eppure, dietro quelle sigle apparentemente simili si nascondono differenze sostanziali che possono influire non solo sul prezzo che paghiamo, ma soprattutto sulla qualità e sull’autenticità di ciò che portiamo in tavola. Il Pecorino Romano DOP, il Pecorino Toscano DOP, il Pecorino Sardo DOP e il Pecorino Siciliano DOP rappresentano eccellenze della tradizione casearia italiana, ma proprio per questo motivo il settore è diventato terreno fertile per confusioni e strategie di marketing ambigue.
La giungla dei bollini: quando la certificazione diventa un rebus
Tra DOP, IGP e altri simboli grafici che affollano le etichette, distinguere un prodotto davvero tutelato da uno generico richiede competenze che il consumatore medio raramente possiede. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha più volte segnalato come l’uso di richiami geografici o tradizionali su prodotti non certificati possa risultare potenzialmente fuorviante, pur restando entro i limiti della legge se non ingannevole in senso stretto.
La questione non è di poco conto: acquistare un pecorino pensando di portare a casa un prodotto certificato quando in realtà si tratta di un formaggio comune significa potenzialmente pagare un sovrapprezzo ingiustificato e, soprattutto, rinunciare alle garanzie che le certificazioni autentiche dovrebbero offrire. I marchi DOP e IGP influenzano significativamente la disponibilità a pagare un prezzo più alto, proprio perché associati a qualità e controlli superiori.
DOP e IGP: due mondi apparentemente gemelli ma profondamente diversi
La certificazione DOP rappresenta il massimo livello di tutela per un prodotto agroalimentare europeo. Il Regolamento europeo stabilisce che per un prodotto DOP tutte le fasi – produzione delle materie prime, trasformazione e elaborazione finale – devono avvenire nella medesima area geografica definita dal disciplinare. Quando acquistiamo un pecorino DOP, ogni singola fase produttiva deve dunque avvenire in un territorio specifico: dall’allevamento delle pecore alla mungitura, dalla lavorazione del latte alla stagionatura, nel rispetto di un disciplinare approvato dalla Commissione europea.
Il marchio IGP offre una tutela diversa e più flessibile. Per l’IGP è sufficiente che una sola delle fasi produttive avvenga nel territorio indicato, mentre le altre possono svolgersi altrove, purché il prodotto mantenga una qualità, reputazione o altra caratteristica attribuibile a tale origine geografica. Nel caso di un formaggio ovino IGP, questo può significare che la trasformazione o l’affinamento avvengano nell’area geografica indicata, mentre il latte può provenire anche da altri territori, se ciò è previsto dal disciplinare specifico di quel prodotto.
Perché questa distinzione dovrebbe interessarti davvero
La differenza tra DOP e IGP non è un tecnicismo burocratico riservato agli addetti ai lavori. Si tratta di comprendere cosa stiamo realmente acquistando e se il prezzo corrisponde al valore effettivo del prodotto. Le analisi economiche sui prodotti DOP e IGP evidenziano che la certificazione è associata a prezzi medi significativamente più elevati rispetto ai prodotti non certificati della stessa categoria.
Un pecorino DOP garantisce tracciabilità completa della filiera produttiva, grazie all’obbligo di registri e controlli documentali sui diversi passaggi produttivi. Il legame con il territorio di origine viene definito in un disciplinare che specifica area geografica, razze animali ammesse, alimentazione e tecniche di produzione. I disciplinari di produzione rigidi e controllati vengono valutati e approvati dalla Commissione europea prima della registrazione della denominazione, mentre le caratteristiche organolettiche specifiche come aroma, sapore e consistenza risultano descritte nel disciplinare e collegate all’ambiente di produzione. Le verifiche costanti da parte di organismi di controllo indipendenti, designati dallo Stato membro e accreditati secondo norme riconosciute, completano il quadro delle garanzie.
Un prodotto IGP offre anch’esso un legame con un territorio e un sistema di controllo definito dal Regolamento europeo, ma con requisiti meno stringenti sulla coincidenza totale tra origine della materia prima e luogo di trasformazione. Esiste poi un’ampia fascia di pecorini che non godono di alcuna certificazione europea, pur ostentando grafiche e denominazioni di fantasia che possono ricordare prodotti DOP o IGP.

Gli inganni grafici che affollano gli scaffali
Il problema principale non è rappresentato dai bollini ufficiali DOP e IGP, che sono regolamentati e facilmente riconoscibili, ma da tutti quegli elementi grafici che li circondano o che, nei prodotti non certificati, cercano di imitarne l’impatto visivo. Bandierine tricolori, riferimenti generici a regioni italiane, immagini di paesaggi rurali e termini come “tradizionale”, “tipico” o “di montagna” non costituiscono di per sé alcuna certificazione.
La normativa europea vieta indicazioni ingannevoli ma consente descrizioni di fantasia purché non inducano in errore sull’origine o sulla natura del prodotto. Si tratta quindi di espedienti di marketing generalmente legali, ma che possono risultare fuorvianti se il consumatore li interpreta come garanzia di qualità ufficialmente riconosciuta.
Come difendersi dalla confusione visiva
I bollini DOP e IGP ufficiali presentano caratteristiche grafiche precise, definite dai regolamenti di esecuzione della Commissione europea. Il logo DOP è rotondo, con colore dominante rosso su fondo giallo, mentre il logo IGP è rotondo con colore dominante blu su fondo giallo. Entrambi riportano una corona di stelle stilizzate e la dicitura “Denominazione d’origine protetta” o “Indicazione geografica protetta”.
Se sulla confezione non compare uno di questi loghi ufficiali, qualsiasi altro riferimento a denominazioni geografiche o tradizioni locali va considerato per quello che è: un’informazione descrittiva o di marketing, non una certificazione comunitaria. Il prodotto può essere buono, ma non gode automaticamente delle tutele specifiche e dei controlli strutturati previsti per DOP e IGP.
Leggere l’etichetta come un investigatore
Al di là dei simboli visivi, l’etichetta contiene informazioni preziose che spesso trascuriamo. Per i formaggi, la normativa europea e italiana stabilisce quando e come deve essere indicata l’origine del latte. In Italia, per latte e prodotti lattiero-caseari preimballati destinati al mercato nazionale, l’indicazione dell’origine del latte è obbligatoria, salvo alcune eccezioni.
Sapere leggere questa informazione aiuta a capire se il latte impiegato è italiano o proviene da altri Paesi. Un pecorino che non specifica chiaramente la provenienza del latte, o che riporta formule generiche quali “latte di Paesi UE e non UE”, offre al consumatore meno elementi per valutare il legame con un territorio, soprattutto se il prezzo è paragonabile a quello dei prodotti certificati.
Anche la denominazione di vendita del formaggio è importante. La normativa vieta l’uso improprio di denominazioni registrate DOP o IGP. Un “Pecorino Romano DOP” è cosa ben diversa da un generico “formaggio ovino stagionato” o da diciture evocative che non corrispondono a denominazioni protette.
Il prezzo racconta una storia che vale la pena ascoltare
Uno degli indicatori più eloquenti rimane il costo al chilogrammo. Le analisi di mercato indicano che i prodotti DOP e IGP si vendono mediamente a un prezzo superiore rispetto ai prodotti comparabili senza certificazione, a causa dei costi aggiuntivi legati al rispetto del disciplinare, alla tracciabilità e ai controlli, oltre che alla reputazione di qualità.
Quando troviamo un pecorino che sfoggia grafiche elaborate e riferimenti geografici, ma con un prezzo significativamente inferiore a quello di un corrispondente DOP, è ragionevole ipotizzare che si tratti di un prodotto non certificato che cerca di posizionarsi in una fascia premium più tramite il packaging che tramite l’inquadramento in un sistema di qualità riconosciuto.
Informarsi adeguatamente sui simboli e sulle certificazioni non significa diventare esperti caseari, ma esercitare il proprio diritto di essere consumatori consapevoli. Una migliore conoscenza dei sistemi di qualità europei è associata a scelte più coerenti con le proprie preferenze e a una maggiore fiducia nel sistema alimentare. Ogni volta che scegliamo con cognizione di causa, premiamo la trasparenza e contribuiamo a scoraggiare pratiche commerciali ambigue. Il pecorino sulla nostra tavola può essere il risultato di una scelta frettolosa o di una decisione informata: la differenza non sta solo nel sapore, ma nel tipo di garanzie che decidiamo di richiedere in cambio del nostro denaro.
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